Sauris (a 38 Km)

Un angolo di paradiso

Sauris (in dialetto tedesco “Zahre”) è il paese più “alto” della Carnia, situato com’è fra i 1000 e 1400 m di altitudine, caratteristica che per secoli lo ha mantenuto isolato dalle altre comunità favorendo una cultura originale ancora oggi viva e condivisa. Il panorama è mozzafiato, il lago di fondovalle e le cime che la circondano disegnano un panorama davvero suggestivo in ogni stagione.

Secondo la leggenda, la comunità di Sauris fu fondata da due soldati tedeschi che, stanchi della guerra, si rifugiarono in questa valle isolata. Un fondo di verità c’è, perchè i primi abitanti giungessero proprio dalle valli della Carinzia del Tirolo attorno alla metà del 1200, e poi ci piace pensare che il paese nasca da una volontà di pace, quella che ognuno, ancora oggi, apprezza tra queste cime. Giunsero qui una nuova lingua, una cultura, una cucina perfino e, naturalmente nuove tradizioni religiose: arrivò forse con loro anche la reliquia di S.Osvaldo, antico Re della Northumbria, nell’Inghilterra settentrionale, vissuto nel VII secolo e invocato come taumaturgo, protettore dalla peste e dalle epidemie. A lui si attribuiscono guarigioni prodigiose tanto che il santuario di Sauris divenne uno dei centri devozionali più noti e prestigiosi della Repubblica Veneta.

Oggi quassù, si scopre e si venera sopreattutto il miracolo della natura e della cordialità. Il turista incontra la pace dell’animo e del corpo e scopre che il miracolo continua.

E a proposito di cucina

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Zahre / Sauris

Storia della Comunità

Tratta dal sito: www.isolelinguistiche.it

L’alta valle del Lumiei era nota alle popolazioni delle valli limitrofe ben prima del XIII secolo, epoca della colonizzazione da parte di popolazioni di lingua tedesca. Lo dimostra il fatto che a quel tempo i boschi e i pascoli della conca erano già stati assegnati ai villaggi circostanti (il che spiega perché il comune di Sauris amministri solo una parte del territorio della conca). Lo dimostra anche la toponomastica . In italiano e in friulano la località è denominata Sauris, in tedesco die Zahre, in saurano de Zahre. Nei documenti più antichi sono attestate le forme romanze Sauras, Saures, Saurya e quella tedesca Zeer . Delle due forme Saurya e Zahre la prima è la più antica, mentre quella tedesca è da considerarsi «un prestito con sostituzione consonantica ad inizio parola e conseguente realizzazione della monottongazione bavarese di [-au-] in [-a:-], che quindi all’epoca della colonizzazione non si era ancora conclusa» .
Ma quando e come si verificò questa colonizzazione?
Nell’immaginario collettivo dei Saurani sono ancora vive alcune leggende, che con lievi varianti narrano di due soldati tedeschi, fuggiti dalla loro terra e rifugiatisi in questa vallata nascosta e selvaggia. Inizialmente essi vivevano di caccia, poi cominciarono, con molta fatica e tra mille difficoltà, a dissodare il bosco per ricavarne terreni coltivabili . Il sacerdote saurano Luigi Lucchini specificava che i due Tedeschi erano fuggiti «non si sa bene da qual parte della Germania (probabilmente dalla Carintia o dal Tirolo) per togliersi al duro peso della milizia» e collegava questa secolare tradizione al ricordo di una processione che i Saurani compivano ogni anno nella località carinziana di Heiligenblut (Sagritz), sede di un rinomato santuario . Una delle varianti della leggenda di fondazione afferma che i due fondatori sarebbero arrivati in località Raitrn (presso Sauris di Sotto), dove avrebbero costruito la prima capanna; pochi anni dopo uno dei due si sarebbe separato e avrebbe stabilito la propria dimora in località Rikelan (nei pressi di Sauris di Sopra). Secondo un’altra versione, i fuggiaschi erano tre e arrivarono dapprima sui monti di Sappada; non sentendosi sicuri, proseguirono fino alla valle del Lumiei, che scelsero proprio per la sua selvatichezza. In questa versione, il terzo personaggio si sarebbe insediato nel luogo chiamato Taitce gorte (orto tedesco), nella zona di Lateis.
Se dalle descrizioni affascinanti e colorite fornite dalle leggende si passa al terreno della storia, bisogna riconoscere che i documenti più antichi (noti, fra l’altro, solo in estratto o attraverso citazioni di seconda mano) non forniscono molte notizie sulle origini e sui primordi della comunità saurana. Il primo documento, ormai perduto, che ne menziona l’esistenza risale al 1280 . In questo atto Awardo, figlio di Raypreto di Socchieve, riconosce di avere in feudo dalla Chiesa di Aquileia, oltre ad altri appezzamenti e proprietà, una aira di astori ed un’altra di sparvieri “in contrata de Sauris”. In un altro documento, anch’esso perduto, del 1306 veniva citata per la prima volta la località di Sauris di Sopra (Plozn): un certo Nicolò figlio di Adraboreto di Sauris ottenne dal patriarca di Aquileia l’investitura di un podere “in villa de Plazas, in loco qui dicitur Sauras” . Del 1318 è il primo documento ancora esistente, riguardante anch’esso un’investitura feudale del territorio di Sauris .
Questi scarni dati sono facilmente inquadrabili nella situazione del Friuli tra XIII e XIV secolo, con il potere civile e religioso in mano ai patriarchi di Aquileia, che amministravano il loro vasto territorio attraverso una fitta rete di feudatari ecclesiastici e laici, per lo più di etnia e lingua tedesca . Appare, dunque, logico che la Chiesa aquileiese assegnasse in feudo parte del territorio di Sauris ai signori di Socchieve, che controllavano il distretto al quale appartiene geograficamente la valle del Lumiei. Appare anche evidente che in quel momento il territorio fosse abitato, se qualcuno vi allevava rapaci da caccia. Ancor più probante in questo senso è il documento del 1306, attestante l’esistenza di una villa.
Agli atti giuridico-amministrativi andarono affiancandosi nel tempo i documenti ecclesiastici. Purtroppo un incendio, nel 1758, distrusse l’archivio parrocchiale. Un certo numero di documenti superstiti, tuttavia, consente di ricostruire le prime fasi della storia religiosa della comunità, storia che, come si vedrà, è strettamente legata alla questione delle origini.
Una bolla del 1328 concedeva quaranta giorni d’indulgenza ai fedeli che in determinate ricorrenze liturgiche avessero visitato le due chiese di S. Osvaldo e di S. Lorenzo . In un secondo documento del 22 luglio 1344, ancora conservato nell’Archivio parrocchiale di Sauris, Giovanni, vescovo di Parenzo e vicario patriarcale, confermava alla chiesa di S. Lorenzo i quaranta giorni d’indulgenza .
Queste concessioni patriarcali miravano a formare un beneficio parrocchiale che consentisse alla comunità, isolata per alcuni mesi all’anno, di mantenere un curato e di provvedere alle esigenze dei due edifici sacri, pur rimanendo formalmente soggetta alla pieve di Castoia (Socchieve). Così nel 1354 il patriarca Nicolò concedeva “due parti della Decima della Villa di Sauris al Reverendo Prete Tommaso di Contergnaco Pievano della Chiesa in Sauris per il suo sostentamento” . Il patriarca successivo, Ludovico Della Torre, nel 1364 destinava tutta la decima al mantenimento di un prete curato nelle chiese di S. Lorenzo e di S. Osvaldo. Tale concessione venne confermata nel 1376 dal patriarca Marquardo di Randeck per il mantenimento di un sacerdote nella chiesa parrocchiale di Sauris.
Il riconoscimento delle particolari esigenze e caratteristiche della parrocchia risultano ancor più evidenti da un documento del 1470, col quale si confermava il giuspatronato popolare nell’elezione del curato, mediante il voto dei capifamiglia, diritto che è stato esercitato fino agli anni ’70 del secolo scorso .
La bolla del 1328 attesta l’esistenza, già a quell’epoca, di due edifici di culto a Sauris di Sotto e di Sopra, intitolati rispettivamente ai santi Osvaldo e Lorenzo. Mentre la devozione a S. Lorenzo, diacono della Chiesa romana e martire nel III secolo, è ben documentata in Italia fin dall’antichità, sulla figura di S. Osvaldo e sulle vicende legate alla diffusione del suo culto è bene soffermarsi brevemente, in quanto strettamente legate al problema delle origini e alla storia di Sauris.
Il primo a scrivere della vita di Osvaldo fu il venerabile Beda, nella Historia ecclesiastica gentis Anglorum . Secondo Beda, Osvaldo fu re del Northumberland, regione a nord dell’Inghilterra, tra il 633 e il 643. Aiutato dal vescovo Aidano, evangelizzò il Northumberland ed il Wessex, del cui re sposò la figlia. Fu particolarmente amato dal suo popolo, soprattutto per le sue doti di umiltà e generosità. Si racconta che durante un banchetto avesse fatto spezzare un piatto d’argento per donarne i pezzi ai poveri; questo episodio gli valse la profezia del vescovo Aidano, secondo la quale la sua mano destra sarebbe rimasta per sempre incorrotta. Osvaldo morì nella battaglia di Maserfield, il 5 agosto 643, ucciso dal re pagano Penda. Il suo corpo smembrato fu ritrovato un anno dopo dal fratello, che provvide a seppellire la testa a Lindisfarne, le mani e le braccia a Bamborough. Il culto di S. Osvaldo si diffuse velocemente, alimentato dalla notizia, riferita da Beda, che l’intercessione del santo avrebbe salvato il monastero di Selsey, nel Sussex, da un’epidemia di peste. Nei cronisti successivi la leggenda di Osvaldo si arricchì di aspetti prodigiosi e di particolari, volti ad evidenziarne la nobiltà di stirpe e di carattere. Egli assunse i lineamenti ideali di un cavaliere medioevale, bello e valoroso, pronto a sacrificarsi per la salvezza del suo popolo e per la fede, fino alla morte.
Nel XV secolo si diffuse in area tedesca un poema epico-cavalleresco, derivante da fonti duecentesche. Vi si narravano le vicende di Osvaldo, innamorato della figlia di un re pagano. Per poterla sposare, egli la rapisce, aiutato nell’impresa da un corvo parlante, che porta alla fanciulla i messaggi di Osvaldo e l’anello di fidanzamento. Nel poema viene anche esaltata la generosità dell’eroe. Questa versione della leggenda ha contribuito alla definizione dell’iconografia del santo, rappresentato, a Sauris e in quasi tutto il nord Italia, con la corazza e la spada (che ricordano l’eroismo in battaglia e il martirio), il mantello purpureo, la corona e lo scettro (simboli della regalità) e con un corvo recante un anello d’oro nel becco, appoggiato sulla mano sinistra. Alla stessa leggenda va ricondotta la fortuna del santo nel sud della Germania e in particolare nei paesi alpini.
A Sauris si conserva, da tempo immemorabile, una reliquia di S. Osvaldo, secondo la tradizione un pollice. Non è possibile sapere se essa fosse compresa tra le multas reliquias et sanctitates che il vescovo Nicolò trovò nelle chiese saurane in occasione della loro consacrazione nel 1361 . Quel che è certo è che la fama di cui godette la chiesa-santuario di S. Osvaldo nei secoli scorsi è legata alla presenza della reliquia. Sulle modalità con le quali essa sarebbe giunta a Sauris discussero ampiamente studiosi ed eruditi del XVIII secolo . Nel 1750 mons. Carlo Camuccio scriveva che “piacque a Dio sino da molti secoli di far portare da un Cacciatore Tedesco nella Chiesa della Villa Sauris situata nelle più alte montagne della Carnia, Diocesi di Aquileja, Stato Veneto, un Osso del Dito di s. Oswaldo Martire” . Il racconto si accorda con le leggende locali sulla fondazione, anzi, ne prende probabilmente spunto. Qualche tempo dopo, l’abate Della Stua dava un’altra versione della vicenda, sostenendo di averla raccolta dalla tradizione orale: la reliquia sarebbe stata recata da un soldato carno, che aveva preso parte alla battaglia di Maserfield e, dopo la morte del santo re, ne aveva reciso un dito per portarne con sé un ricordo . Rispunta, dunque, la figura del soldato, non più tedesco, ma carno, appartenente, cioè, alla popolazione celtica che abitava il Friuli prima dell’invasione romana . Al Della Stua fece eco Niccolò Grassi, che in un’operetta storica sulla Carnia, ricordando la presenza della reliquia a Sauris, per rendere ragione della lingua tedesca parlata in questa comunità ne faceva risalire le origini agli antichi Cimbri, costretti dalla sconfitta subita ad opera dei Romani a cercare rifugio nelle valli alpine .
Il passaggio del Friuli dalla Repubblica di Venezia al dominio asburgico, sancito dal Trattato di Campoformido (1797), suscitò l’interesse del mondo accademico di lingua tedesca per le isole linguistiche di origine germanica nella regione. Si occuparono così di Sauris e della sua lingua Josef Bergmann, il dottor Lotz, Carl von Czoernig, riportandone tutti le origini e la cultura ad una matrice tedesca. Il primo considerava i Saurani un residuo di un’antica popolazione tedesca in Friuli. Il dottor Lotz, con lo pseudonimo di Mupperg, nel 1876 propose per l’idioma saurano una derivazione dal Goto o dal Longobardico. Per verificare la tesi del Mupperg, il barone von Czoernig nel 1880 si spostò appositamente da Trieste a Sauris, riconoscendo nella lingua locale una radice franco-bavarese e sottolineando la somiglianza con la parlata di Gottschee, isola linguistica tedesca nella Carniola .
Si deve, però, ad uno studioso saurano la prima indagine linguistica approfondita, che si rivelò illuminante anche ai fini della ricostruzione storica. Nel Saggio di dialettologia sauriana (1882), il sacerdote Luigi Lucchini individuò nei dialetti delle valli carinziane di Möll e di Lesach le forme linguistiche più vicine a quelle del dialetto saurano . Nella stessa opera, come già accennato, egli riferì la tradizione, “ancor fresca” ai suoi tempi, secondo la quale in passato i Saurani solevano recarsi ogni anno in processione a Heiligenblut (Sagriz) in Carinzia, tradizione di cui non si poteva più ricostruire la motivazione, ma che alcuni sospettavano “potesse avere qualche relazione coll’origine di Sauris”.
Anche il geografo Giovanni Marinelli, riconosciuta l’appartenenza delle parlate tedesche della Carnia al ramo alto tedesco, individuava, sulla base del dialetto, delle leggende e degli usi, la zona d’origine della comunità saurana in qualche vallata del Tirolo o dell’alta Carinzia (Pusteria, alta valle della Drava), dalla quale i primi coloni sarebbero partiti in pieno Medio Evo, forse favoriti da qualcuno dei Patriarchi tedeschi dell’epoca . Quest’ultima ipotesi è stata ripresa, in tempi più recenti, da Nimis e da Toller, il quale inquadrava la fondazione di Sauris «nei movimenti migratori disposti dai Patriarchi, che vollero ripopolare le terre a loro soggette deducendo parecchie colonie tedesche e slave» .
Nel corso del ‘900 è stata definita con relativa certezza la questione delle origini, ad opera di linguisti che, seguendo la via inaugurata da Padre Lucchini, hanno utilizzato i dati emersi dai loro studi sull’evoluzione del dialetto saurano per integrare le scarse testimonianze d’archivio.
In tempi diversi Giovanni Lorenzoni, Maria Hornung e Norman Denison sono giunti a conclusioni sostanzialmente concordi sullo stanziamento nell’alta Val Lumiei di coloni provenienti da un’area compresa tra la Pustertal, la Lesachtal e la Oberdrautal, più precisamente dalla parte occidentale della Lesachtal, vicina all’antico confine tirolese-carinziano . A sostegno di questa tesi, Lorenzoni ricordava anche la forte venerazione per S. Lorenzo e S. Osvaldo nelle località di St. Lorenzen e Kartitsch. Particolarmente illuminanti, poi, le osservazioni di Denison sull’espressione vezzeggiativa saurana khla kartitschar (piccolo kartitschese) per “ragazzino” e il soprannome di una famiglia di Sauris di Sotto, Tilgar, il quale ha dato nome ad un canalone franoso nelle immediate vicinanze del paese (tilgar lie). Ricordando che gli abitanti di Tilliach si chiamano tutt’oggi Tilgar, Denison trova nelle due espressioni la conferma che i Saurani derivano almeno in parte dalla zona di Kartitsch e Tilliach. Riguardo all’epoca dell’insediamento, Lorenzoni proponeva una datazione alla prima metà del XIII secolo, la Hornung al 1250 circa; Denison ritiene possibile che l’immigrazione sia durata qualche decennio (tra il 1250 e il 1280 circa).
E’ giusto, infine, riportare le ultime due ipotesi formulate sulla fondazione della comunità saurana, che, sebbene non fondate su elementi concreti, hanno tuttavia un loro fascino.
Giordano Brunettin ha inserito la colonizzazione della conca nel quadro politico-economico dell’area comprendente il Friuli, la Carinzia e il Tirolo attorno alla metà del XIII secolo . Tra il 1218 ed il 1251 fu patriarca di Aquileia (in quel periodo la massima carica ecclesiastica e politica del Friuli) Bertoldo di Andechs, della famiglia dei duchi di Merania, proprietari di ampi possedimenti in Germania e Carniola, marchesi d’Istria e imparentati con i conti di Gorizia, che dominavano grandi zone della Carinzia occidentale e l’intera val Pusteria e i cui discendenti avrebbero governato anche il Tirolo. In poche parole, nella metà del XIII secolo si venne a costituire, al di là delle Alpi, una vasta dominazione nelle mani di casate consanguinee, con la possibilità di sviluppare nuove iniziative economiche, come l’allevamento e l’agricoltura in quota, praticati dai grandi monasteri benedettini collegati alle casate egemoni. Il monastero di Weingarten, presso Ravensburg, aveva acquisito nel corso dei secoli XII e XIII enormi latifondi nella Carinzia occidentale e nel Tirolo. Secondo la tradizione, una reliquia di S. Osvaldo era stata traslata proprio in questo monastero, che avrebbe favorito nei propri possedimenti la diffusione di cappelle, chiese e borghi intitolati al santo inglese. In Tirolo i beni terrieri di Weingarten suscitarono gli appetiti dei signori della contea, dando luogo ad aspre contese. E’ possibile che anche in Carinzia il conflitto fosse sfociato in prevaricazioni ed episodi di violenza nei terreni del monastero. Proprio questa circostanza potrebbe aver spinto un gruppo di massari dell’abbazia, risiedenti nella valle del Lesach, a cercare rifugio e condizioni di vita più pacifiche e favorevoli in una valle remota del patriarcato aquileiese. A protezione dei coloni potrebbe essere intervenuta l’abbazia di Moggio, potente centro monastico ai piedi delle Alpi friulane. Brunettin non esclude un’altra variante a quest’ipotesi: la fondazione di una nuova comunità potrebbe essere inserita nel generale movimento di colonizzazione verso territori esterni all’Impero e, quindi, liberi da vincoli giuridici ed amministrativi, che si verificò in Germania tra XII e XIII secolo .
All’ambito monastico ha fatto riferimento pure Stefano Dall’Oglio per spiegare la presenza delle reliquie di S. Osvaldo a Sauris e nel continente europeo in generale . E’ stata in precedenza ricordata l’inportanza del vescovo Aidano nell’opera di evangelizzazione del Northumberland, la regione inglese di cui Osvaldo era sovrano. Lo stesso Aidano fondò il monastero di Lindisfarne (non lontano dalle coste settentrionali del Northumberland), il cui scriptorium produsse alcuni dei più ricchi codici miniati dell’epoca. Nell’VIII secolo i monaci irlandesi e scozzesi si trasferirono sul continente, dove fondarono monasteri, diffondendo la loro scrittura, il loro pensiero ed i loro usi religiosi. Proprio a questi monaci potrebbe essere dovuto l’arrivo nell’Europa centrale delle reliquie dei loro santi, tra i quali Osvaldo era particolarmente legato a loro dal punto di vista storico, religioso e culturale. Per il resto, Dall’Oglio si ricollega all’ipotesi del Marinelli, secondo la quale l’insediamento di famiglie contadine di ceppo tedesco nelle montagne della Carnia e della Slovenia fu favorito dai patriarchi aquileiesi. Durante una di queste “emigrazioni forzate” sarebbero arrivati nell’alta val Lumiei sia i primi abitanti di Sauris che la reliquia.I primi documenti storici, uniti alle indicazioni ricavabili dalle leggende di fondazione, inducono ad immaginare la conca di Sauris abitata, nei primissimi tempi, da pochi nuclei familiari. Secondo Lorenzoni, dei sei cognomi di marca tedesca che compaiono nei registri parrocchiali a partire dal 1758 (anno dell’incendio che distrusse l’archivio parrocchiale, con tutti i registri precedenti), soltanto tre sono riconducibili al periodo dell’insediamento .
Queste prime famiglie fondarono i due villaggi di Dörf (Sauris di Sotto) e Plozn (Sauris di Sopra), dedicandosi all’allevamento, all’agricoltura e alla caccia . Il paesaggio stesso di Sauris, con la presenza di vaste superfici a pascolo sulle alture e di prati e campi strappati al bosco attorno ai paesi, rivela una pratica secolare del sistema agropastorale alpino. Oltre ai prodotti dell’allevamento, la sussistenza della comunità era legata alla coltivazione delle poche specie adatte al clima e all’altitudine (grano saraceno, segale, avena, orzo, fave, cavolo cappuccio) . Per le materie prime non reperibili in loco (soprattutto il sale, indispensabile alla conservazione degli alimenti) si ricorreva al baratto con le comunità più vicine.
E’ facile immaginare che i primi coloni attingessero alle folte foreste della vallata per costruire i primi edifici (case, stalle e fienili, chiese o cappelle), utilizzando le tecniche costruttive e le tipologie architettoniche della zona d’origine. Ancora oggi, infatti, risultano evidenti le affinità tra gli edifici saurani e quelli della Lesachtal o della Gailtal, soprattutto negli stavoli (anschichtn) e nei depositi per il fieno (hittn) sparsi nei prati fuori dai centri abitati e meno soggetti, quindi, ai cambiamenti dettati dal desiderio di adeguarsi alle tipologie architettoniche delle vallate vicine.
Dal punto di vista politico-amministrativo, la storia di Sauris segue le vicende di gran parte del Friuli, governato dai patriarchi di Aquileia nei secoli XIII e XIV, passato sotto il dominio della Repubblica veneta nel 1420, ceduto nel 1797, con il trattato di Campoformido, all’Austria, sotto il cui controllo rimase (salvo una breve parentesi di dominio francese tra il 1805 e il 1814) fino al 1866, data dell’annessione al Regno d’Italia.
Nel quadro della Carnia, invece, la comunità saurana si trovò, in epoca tardo-medioevale e moderna, in una situazione particolare. Fatta eccezione per Forni di Sopra e di Sotto (soggetti alla potente casata dei Savorgnan), il resto della Carnia era organizzato amministrativamente in quattro quartieri (Socchieve, S. Pietro, Gorto, Tolmezzo) e nella Terra di Tolmezzo, la comunità più grande e numerosa, sede del gastaldo. Sebbene dal punto di vista geografico la villa di Sauris appartenesse al bacino dell’alto Tagliamento e quindi al quartiere di Socchieve, essa dipendeva direttamente dalla Terra di Tolmezzo, assieme alle ville di Sappada, Forni Avoltri, Timau e Cleulis, anch’esse comunità situate in territori di confine o in corrispondenza dei passi più importanti . In considerazione della dislocazione disagiata e dello scarso rendimento dei terreni, inoltre, nel 1392 i Saurani furono esentati dalle tasse . Quest’occhio di riguardo nei confronti della comunità continuò sotto la dominazione veneta, in linea, peraltro, con la generale politica di rispetto dell’autonomia e delle prerogative della Carnia perseguita da Venezia.
Forse nel corso del ‘500 o già nel secolo precedente si verificò, da parte di alcune famiglie di Sauris di Sotto e di Sopra, la scelta di stabilirsi permanentemente nelle due località più orientali della vallata, Lateis (Latais) e La Maina (Ame Lataise), fino a quel momento sfruttate stagionalmente per la stabulazione . Il 6 dicembre 1500 un certo Leonardo Ladeyser e sua moglie Kungundis ottennero a Roma una bolla d’indulgenza per le chiese di S. Lorenzo e di S. Osvaldo . Secondo Denison Ladeyser sarebbe la trascrizione grafica di Lataisar, abitante di Latais . Nella visita pastorale del 1602, comunque, risulta che ci fossero sedici fuochi (nuclei familiari) a Sauris di Sopra, trenta a Sauris di Sotto, cinque a Lateis e tre alla Stua .
Nel corso del ‘500 lo sfruttamento intensivo dei boschi della val Lumiei da un lato, il diffondersi della fama del santuario dedicato a S. Osvaldo dall’altro furono occasione, per la comunità saurana, di frequenti contatti con il mondo esterno. Nel territorio di Sauris si trovavano due boschi banditi (riservati dalla Repubblica di Venezia all’utilizzo del proprio arsenale). Gli altri boschi di proprietà della comunità venivano in parte utilizzati dalle famiglie locali, in parte affittati a commercianti del posto o forestieri. In ogni caso, lo sfruttamento boschivo divenne per Sauris, come del resto per le altre comunità della Carnia, fonte di reddito e di lavoro indotto (boscaioli, segantini, addetti alla costruzione di stue e canali per la fluitazione, carradori). Proprio a Sauris sarebbe stata installata, nel XVI secolo, la prima segheria della Carnia . L’elevata richiesta di manodopera dovette attirare nella vallata nuovi immigrati, come dimostra la presenza, nei documenti e nei libri parrocchiali, di nuovi cognomi di origine romanza (Petris, Polentarutti, Colle, Somvilla, Lucchini, Domini).
Nei documenti ecclesiastici ricordati all’inizio le due chiese di Sauris di Sotto e di Sopra godevano dei medesimi benefici e non appare alcun elemento di superiorità dell’una sull’altra. La parrocchia era unica, retta da un unico pastore che provvedeva alla cura spirituale dell’intera comunità. A partire dal ‘500 e per tutto il corso dei secoli XVII e XVIII, il santuario di S. Osvaldo, grazie alla fama taumaturgica della sua reliquia, divenne uno dei centri devozionali più famosi del Friuli, meta di pellegrinaggi non solo dalle località più vicine, ma anche dalle città venete, in particolare da Venezia. I visitatori, oltre a dotare la chiesa di un ricco corredo di argenterie e paramenti sacri, lasciavano cospicue offerte, che avrebbero permesso agli abitanti di Sauris di Sotto di mantenere un nuovo sacerdote, a vantaggio del paese e dei frequentatori del santuario. Perciò la comunità di Sotto, appoggiata da Lateis e dai casali isolati, nel 1637 chiese ed ottenne di poter avere un cappellano residente per tutto l’anno. L’erezione della cappellania di S. Osvaldo fu il primo passo di una lunga ed aspra contesa tra le due comunità principali, che sfociò, nel 1809, nel trasferimento della parrocchia da S. Lorenzo a S. Osvaldo .
Nonostante la perdita dell’archivio parrocchiale nell’incendio del 1758, numerosi documenti conservati soprattutto negli archivi di Udine forniscono dati utili a ricostruire la storia sociale ed economica della comunità tra i secoli XVII e XIX. Si può riscontrare, ad esempio, che le nascite e le stipule di contratti si concentravano in alcuni mesi o periodi dell’anno . Questo fenomeno è probabilmente legato all’emigrazione stagionale. Come in tutta la Carnia, anche a Sauris era diffusa l’emigrazione maschile, che consentiva di integrare il magro bilancio delle famiglie. Si verificava così che diverse persone, sia giovani che adulte, lasciassero il paese d’autunno e vi facessero ritorno in tarda primavera o in estate, per affiancare i familiari nel periodo cruciale dei lavori agricoli. Le mete, le attività intraprese, la quantità di persone coinvolte subirono dei mutamenti nel tempo. Nel 1629, ad esempio, il numero di persone assenti da Sauris è esiguo: 9 persone su 231 abitanti . Cinquant’anni dopo, sono 25 i maschi di Sauris che si trovano «in Giermania», e fra questi ci sono tre fratelli «tutti picholi che sono andati a servire» . Appare forte, in quel periodo, il legame con il mondo di lingua tedesca, tanto da giustificare l’abitudine di mandare i figli a “servire” nelle regioni austriache.
Forse già nel Seicento emigrava da Sauris qualche tessitore, ma è soprattutto nel corso del Settecento che si infittiscono le notizie su tessitori saurani impegnati a lavorare nella pianura friulana e veneta . Nel questionario napoleonico del 1807 si legge che «principiano ad emigrare in ottobre e novembre, e stanno fino in giugno. Cominciano all’età di anni 12 circa e continuano fino all’età di anni 50 circa e s’applicano ai mestieri di sarto e tessaro» .
Alcuni di questi emigranti scelsero di stabilirsi definitivamente in altri paesi. Questa circostanza, assieme ad altri fattori, quali un tasso di nuzialità piuttosto basso ed un età elevata al momento del matrimonio, contribuirono al mantenimento, almeno fino alla metà dell’Ottocento, di un regime demografico a bassa pressione, in linea con le tendenze generali dell’area alpina . Fino al 1830 si registra una sostanziale stabilità del numero di abitanti, oscillante attorno a 500.
La situazione cambia attorno alla metà del secolo, con una decisa impennata nella seconda metà. Nel 1881 a Sauris ci sono 797 abitanti, che salgono a 844 nel 1901. Tra le cause dell’incremento demografico sono da annoverare l’introduzione della coltivazione della patata, la diminuzione dei tassi di mortalità, soprattutto infantile, il progressivo incremento delle attività collegate all’allevamento e alla pratica dell’alpeggio.
Lo sbilanciamento, all’interno del sistema agropastorale, a favore dell’allevamento e della produzione casearia ebbe gravi conseguenze sull’economia locale . La popolazione di Sauris si trovò esposta ad un progressiva dipendenza dal mercato esterno, tanto che lo scrittore locale Fulgenzio Schneider ricordava le “lunghe file di gente come processioni, che partivano da Sauris poco dopo la mezzanotte, coi lumi accesi per illuminare il faticoso monte Pura”, senza tenere conto del freddo né della neve, perché “la necessità costringeva di affrontare qualunque pericolo per fornirsi di un po’ di grano, e specialmente anche per accontentare i mercanti di Ampezzo che, arroganti aspettavano la portata del burro” .
Dallo stesso scrittore si apprende che negli ultimi decenni dell’Ottocento, a causa dell’industrializzazione, gli uomini saurani non andavano più in pianura a fare i tessitori, ma sceglievano altre mete migratorie, ad esempio “Germania e Svizzera nel 1888, dove in nove mesi all’anno potevano farsi delle belle stagioni consecutivamente fino allo scoppio della guerra del 1915” . Nel primo ventennio del ‘900 gli emigranti saurani, spesso accompagnati dalle famiglie, sono presenti in Austria nell’area delle segherie carinziane, specialmente a Feldkirchen, e nella Svizzera tedesca . Alcune famiglie, già a partire dalla fine dell’Ottocento, scelsero invece di partire per l’Argentina, in particolare per la regione del Chaco, dove numerosi gruppi di agricoltori friulani avevano fondato città e paesi. Queste ultime emigrazioni, di carattere definitivo, dovettero funzionare da regolatore demografico, se nel decennio 1901-1911, in controtendenza con il quadro generale della montagna friulana, la popolazione di Sauris subì un calo.
La prima guerra mondiale toccò solo marginalmente la comunità, che dovette comunque pagare il suo tributo in vittime (ventisei caduti) . Le cronache ricordano l’arrivo a Sauris, nel 1916, del generale Clemente Lequio con un drappello di genieri. Durante l’occupazione del 1917-1918 arrivò nella valle anche una truppa di Austroungarici, che fece razzia di viveri, foraggio, animali e asportò i bronzi sacri e le lamiere di rame del campanile della chiesa di S. Osvaldo.
I primi decenni del XX secolo videro lo sviluppo del corporativismo ed un notevole miglioramento della viabilità e delle comunicazioni . Nel 1905 fu realizzato il collegamento telegrafico con Ampezzo. Già nel 1898 era stata istituita una latteria sociale a Sauris di Sopra, alla quale nel 1907 si aggiunse quella di Sauris di Sotto. L’anno dopo fu costituita di fatto una Cooperativa di Consumo, divenuta poi ufficialmente nel 1920 “Unione Cooperativa di Consumo”, tuttora esistente . Nel 1918 fu completata la strada militare per Ampezzo, attraverso il monte Pura, tracciata dal generale Lequio.
Ma l’opera che più rappresenta, nella memoria collettiva dei Saurani, la fine del cosiddetto “isolamento” e l’ingresso nella modernità è la strada del Bûs, che collega Sauris ad Ampezzo seguendo la forra del torrente Lumiei (Lunte). Nel corso dell’Ottocento lungo la forra si snodava già un ardito sentiero e alla fine del secolo si diffuse l’idea di costruire una strada rotabile, che evitasse la salita al passo del Pura. Fu tuttavia necessario attendere il XX secolo per assistere all’inizio dei lavori, che si svolsero, tra alterne vicende, dal 1919 al 1934 . Eccezionale fu la realizzazione del ponte sul Lumiei, struttura in cemento armato ad arcata unica, lungo un centinaio di metri e alto sull’alveo 105 metri.
Tra il 1936 e il 1939 fu realizzata anche, ad opera del Genio Militare, la strada per il Cadore, attraverso l’altopiano di Razzo.
Il relativo miglioramento della qualità della vita non bastò a frenare l’emigrazione, che continuò in parte a scegliere come meta l’Argentina, ma fu diretta anche verso la Francia, in particolare verso Montauban, in Aquitania. Nel corso di un decennio (1921-1931) la popolazione passò da 834 a 750 residenti: una contrazione demografica sensibilmente inferiore alla media della montagna friulana (-9.0% contro -12.8%), così come fu notevolmente inferiore la crescita della popolazione tra 1871 e 1931 (+0.8% contro +19.9%).
Più delle cifre, è interessante l’analisi delle scelte degli emigranti. La partenza di grossi nuclei familiari, sia per la Francia che per l’Argentina, è giustificata dall’offerta di lavoro agricolo, su terra propria. Se nel periodo antecedente la prima guerra mondiale gli emigranti avevano scelto di fare i boscaioli e i segantini in Austria e in Svizzera, nel periodo tra le due guerre scelsero di fare i contadini. Si denota così la sostanziale fedeltà al genere di vita praticato nel paese d’origine .
Anche la seconda guerra mondiale interessò Sauris marginalmente, pur facendo registrare una trentina di vittime (tra militari e civili). Gli episodi più cruenti si verificarono nel 1944, legati soprattutto agli scontri e alle rappresaglie fra le truppe tedesche e i partigiani carnici . Nel dicembre di quell’anno e nei primi mesi del 1945 salirono più volte a Sauris a cercare alimenti e foraggio truppe cosacche e russe, aggregate all’esercito tedesco.
Tra il 1941 ed il 1948 la conca di Sauris fu teatro di un’opera grandiosa: la costruzione dell’impianto idroelettrico del Lumiei, con l’imponente diga di sbarramento, all’epoca la più alta d’Italia e una delle maggiori al mondo, con i suoi 136 metri di altezza. Nonostante gli eventi bellici e le difficoltà logistiche, i lavori ebbero uno svolgimento abbastanza regolare, tranne una sospensione nel periodo dell’occupazione tedesca. A causa della scarsità di manodopera locale, impegnata sul fronte, tra la primavera e l’autunno 1943 vennero impiegati nei lavori 300 prigionieri di guerra neozelandesi. Ben 21 operai persero la vita durante la realizzazione. Le case della località La Maina, che si trovavano nel fondovalle riempito dal bacino artificiale, furono ricostruite più a monte.
Nel dopoguerra riprese con vigore l’emigrazione, diretta verso l’Italia e soprattutto verso il Friuli, secondo una tendenza che già aveva caratterizzato il periodo immediatamente precedente il conflitto, quando i divieti di emigrare all’estero avevano favorito i movimenti migratori interni . Nel periodo 1945-1976 emigrarono da Sauris circa 740 persone. Tra il 1951 ed il 1971 la popolazione calò del 25%.
Questo spopolamento massiccio, comune a tutta la montagna friulana, rese evidenti la crisi dei modelli di vita tradizionali e la rottura degli equilibri economici interni. Al calo demografico si accompagnarono infatti la drastica riduzione dei capi di bestiame, la diminuzione della percentuale di occupati nell’agricoltura e nell’allevamento, il sempre più ridotto sfruttamento dei pascoli e delle strutture in alpe .
Nel 1976 il Friuli fu colpito da un disastroso terremoto, le cui conseguenze nel territorio di Sauris furono abbastanza contenute. Paradossalmente, questo evento segnò per la terra friulana l’inizio di un riscatto sul piano sociale, economico, culturale. Nella seconda metà degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80 la comunità saurana diede segnali di risveglio, con il sorgere di gruppi ed associazioni impegnati nella valorizzazione della lingua e della cultura locali (il coro “Zahre”, il Circolo Culturale Saurano “Fulgenzio Schneider”), con iniziative di recupero dell’architettura spontanea e delle attività artigianali tradizionali (lavorazione del legno, tessitura) e con il potenziamento di attività già esistenti (lavorazione delle carni suine, turismo). Emblematico appare in questo senso l’anno 1980, nel quale fu festeggiato con convegni e manifestazioni il settecentenario del toponimo “Sauris” e fu varato dall’Amministrazione comunale il “Progetto Sauris”, progetto di sviluppo integrato, il cui perno era costituito da un turismo a basso impatto, con formule innovative e rispettose dell’ambiente e della fisionomia della comunità .
Nel 1983 il Comune beneficiò di una legge regionale speciale (L.R. 2/83) per la tutela delle tipologie tradizionali dei centri storici di Sauris di Sopra e di Sotto. I cospicui finanziamenti permisero la ristrutturazione di buona parte del patrimonio edilizio, il rifacimento delle opere di urbanizzazione primaria e delle strutture comunitarie di servizio.
Negli ultimi vent’anni le scelte effettuate sembrano aver momentaneamente scongiurato il rischio dell’estinzione della comunità. Accanto al turismo, si sono consolidate o sono state avviate attività economiche compatibili (artigianato, edilizia, prodotti alimentari) in grado di garantire la permanenza dei residenti .
All’orizzonte si prospettano ora nuove sfide, come l’evoluzione da un turismo “stanziale” ad un turismo “di passaggio” o la ricerca di soluzioni per un rilancio del turismo invernale, in crisi per la carenza di neve e per la mancanza di strutture sportive di forte richiamo.
Da tempo ormai è in forte declino il settore dell’agricoltura e dell’allevamento, con logiche conseguenze anche sull’ambiente.
Ma la sfida maggiore appare quella legata al mantenimento dell’identità e della specificità culturale e linguistica della comunità.

 

 

 

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